a cura di Giorgio Verdecchia

Intercettata già molto anni or sono dai demografi e dagli esperti internazionali di salute, ma ciononostante largamente trascurata dai responsabili e dagli operatori dei nostri servizi sanitari, la cronicità si addensa come un tifone che sta per abbattersi sulla già traballante struttura del Servizio sanitario e turba i sonni degli addetti ai lavori spingendoli a studiare come proteggersi da un possibile disastro annunciato...

Al di là di queste immagini, forse troppo funeste, è fuor di dubbio che il tema delle cronicità, è reale, è di grande attualità e sta fermentando anche all’interno delle imprese private accreditate che affiancano il Servizio sanitario nazionale nell’area dell’assistenza specialistica sul territorio.

Tutte le evidenze epidemiologiche dimostrano anche troppo chiaramente che l’invecchiamento è la principale causa della morbilità, della disabilità e della mortalità. Le statistiche demografiche ci dicono che in tutta Europa la popolazione invecchia e che con l’imvecchiamento l’invecchiamento la cronicità colpisce l’80 per cento degli over 65 (si tratta di ben 88 milioni di persone destinate a diventare nel 2060 una massa impressionante di 152 milioni !). L’Italia gioca la sua parte in questo scenario. Si presenta con un trend demografico che vede la curva degli over 65 salire dall’attuale 21,4 per cento della popolazione al 27,6 per cento entro il 2032. tra quindici anni dovremo affrontare la fragilità sanitaria di una massa di anziani over 65 che sul totale della popolazione è destinata a salire è dall’attuale 21,4 al 27,6 per cento. Vuol dire 17 milioni e 600 mila anziani fragili in cerca di cure e di assistenza. L’assorbimento di risorse sanitarie, sociali e assistenziali legate alla cronicità è ancora più impressionante. Raggiunge nel mondo la quota del 70-80 per cento delle risorse sanitarie complessive. In Europa la spesa sanitaria per le cronicità è stimata nell’ordine dei 700 miliardi di euro per anno. In Italia solo la spesa degli over 65 è il 60 % della spesa farmaceutica territoriale (7 miliardi di euro l’anno). La spesa procapite per un over 75 è già oggi superiore di 11 volte a quella di una persona tra i 25 ed i 34 anni. Quasi un terzo delle visite medico generiche e specialistiche è erogato a persone multi-croniche ed il 51% dei ricoveri è attribuita alla fascia di età over 65. Nella sola Lombardia la spesa sanitaria pro-capite di un paziente con una sola patologia cronica è quattro volte superiore a quella media ed aumenta con la presenza di più patologie croniche.

Se non vogliamo tapparci gli occhi per non vedere la realtà, dobbiamo prendere atto che ciò che i radar hanno avvistato non è allarmismo mediatico o strumentale . E’ la tempesta perfetta che si sta avvicinando al nostro sistema sanitario e, purtroppo, lo trova ancora indifeso di fronte a fenomeni di questa portata, lenti quanto si voglia, ma inarrestabili. Proprio in questi giorni l’allarme cronicità è stato nuovamente lanciato nel Rapporto dell’Istat sulla salute degli italiani. I dati confermano che ci collochiamo bene nella graduatoria europea della speranza di vita, ma molto meno bene sulla scala “della vita buona” a partire dai 75 anni e con enormi escursioni lungo lo stivale. Eurostat, dal canto suo, si associa all’allarme dell’ Istat e ci dice che in Europa gli ultraottantenni sono 27,3 milioni, uno ogni 20 persone. Le percentuali più elevate sono proprio in Italia oltre che in Grecia.

E’ quindi più che opportuno che l’Osservatorio ANISAP sul servizio sanitario nazionale apra una stagione di approfondimento e di dibattito sul fenomeno. Vogliamo raccogliere contributi, idee, proposte da quanti vorranno intervenire e condividere con loro valutazioni e giudizi.

Apriamo il dibattito cercando da dare alcune prime risposte alle seguenti domande:

  • cosa sta succedendo ?
  • come il Servizio sanitario si sta attrezzando ?
  • quali sono le ricadute sulla specialistica ambulatoriale esterna?

Cosa sta succedendo

E’ presto detto. L’invecchiamento porta con sé una maggiore morbilità, la cronicizzazione delle patologie, l’accumulo di più patologie croniche, la degenerazione della patologia nella disabilità. Insomma una fragilità sanitaria che colpisce quote crescenti di persone e richiede un profondo ripensamento del modello assistenziale. La cronicità sta facendo esplodere le contraddizioni del nostro sistema pubblico di protezione della salute. E’ la miccia che apre la strada ad una rivoluzione dei sistemi sanitari che è definita “grigia” proprio perché indotta dal dilagare della cronicità connessa al progressivo invecchiamento della popolazione.

Si tratta di dinamiche sociali, misurate e misurabili, che generano fatalmente la crescita dei consumi e fanno innalzare l’asticella della spesa pubblica spingendola verso livelli che il sistema non può sostenere, perché le risorse disponibili sono limitate e la situazione economica del Paese non autorizza la richiesta di maggiori finanziamenti alle casse esangui dello Stato. Il DEF 2018-2020 ce lo conferma.

La rivoluzione grigia è quindi un problema di salute degli individui e della popolazione, la cui tutela è un dovere della mano pubblica. Nella misura in cui rischia di mettere in discussione gli equilibri del sistema, il fenomeno di cui parliamo pone un enorme problema di economia pubblica, al quale è la politica che deve dare le risposte.

La politica “alta”, quella che detta la strategia parlando attraverso le leggi di sistema e le finanziarie, ha detto da tempo no agli interventi di razionamento esplicito delle prestazioni (i ticket e le compartecipazioni), che lasciano senza protezione le fasce economicamente più deboli e ha detto no anche al razionamento implicito operato mediante l’allungamento delle liste di attesa, che fanno esondare la domanda sul mercato a pagamento, magari intermediato dalle formazioni mutuo-assicurative. Lascia il compito di gestire l’ondata della cronicità al Governo, ossia a chi – Economia, Sanità e Regioni - ha la responsabilità della guida del sistema.

Gli strumenti disponibili per governare una situazione di questo tipo sono essenzialmente due: razionalizzare la domanda, ossia riportarla entro i confini degli obiettivi della tutela della salute, la vera missione del Servizio pubblico, selezionando le priorità della protezione e ripensare l’offerta, allocando opportunamente le risorse e conformando i processi produttivi alla domanda razionalizzata.

Politiche semplici nella enunciazione, ma molto difficili da attuare nel sistema sanitario. Come si governa la domanda nel mercato della salute, dove l’attore protagonista è il medico che interpreta nella sua autonomia tecnico-professionale il bisogno sanitario del paziente, lo valuta e lo traduce nella richiesta frammentata di prestazioni molto spesso inappropriate che dilaga sotto l’ombrello protettivo del diritto? Che significa poi ripensare l’offerta, quando essa è regolamentata da leggi, decreti e regolamenti ed è strutturata per filiere specialistiche operativamente polverizzate in una miriade di punti di servizio che rispondono solo a se stessi e non dialogano tra di loro   ?

Gli economisti sanitari parlano a questo proposito di un approccio moderno alle cure che chiamano desease management, una formula che non dovrebbe risultare estranea e chi gestisce imprese sanitarie, ma che è bene ribadire come paradigma culturale in cui inquadrare il tema che stiamo affrontando. Sta ad indicare molto semplicemente che quando le risorse impiegabili sono scarse, la medicina non può decidere tutto da sola chiudendosi nei propri canoni tecnici. Deve essere coniugata con l’economia, che è definita sarcasticamente dagli stessi economisti come “scienza grama” proprio perché studia il modo in cui l’uomo cerca di soddisfare i propri bisogni in presenza di beni e di risorse limitate. Questo è il ruolo del management, ossia di coloro che devono assicurare l’economicità - ossia l’efficienza, ma soprattutto l’efficacia - dei processi di produzione e di scambio dei beni e dei servizi. Vale a dire: basta con la cura dei singoli episodi di malattia, bisogna diventare manager della patologia, individuarne le cause e gli effetti, costruire il processo diagnostico-terapeutico finalizzandolo all’individuazione delle soluzioni migliori in termini di risultati offerti all’utente e di ottimizzazione dei costi complessivi per il fornitore.

Per agire sulle cronicità secondo le regole dell’economia sanitaria bisogna fare in modo che sia colui che genera la domanda nei singoli casi concreti sia colui che la soddisfa erogando la prestazione si sentano parti di un sistema e prendano le decisioni di loro competenza conformandosi alle politiche che il sistema decide di adottare e rispondendo dei risultati conseguiti.

Serve una sanità che sia capace di:

  • intercettare i bisogni, classificarli, segmentarli, dimensionarli (marketing) e ordinarli secondo una precisa scala di priorità;
  • valutarne ponderatamente i contenuti in termini di qualità e quantità delle prestazioni richieste (governo della domanda),
  • organizzare e dimensionare l’offerta dei servizi, progettando e standardizzando i percorsi diagnostico-terapeutico-assistenzali e trasformando ciò che è oggi diviso professionalmente, tecnicamente, funzionalmente ed amministrativamente ed anarchicamente gestito in un una rete governata (programmazione e regolamentazione dell’offerta),
  • prendere in carico i piani assistenziali, affidandone la gestione ad un soggetto operativo responsabile e verificandone l’attuazione (gestione e controllo).

Gli aziendalisti non avrebbero difficoltà a riconosce nello schema che abbiamo appena proposto il ciclo della Total Quality, che i giapponesi hanno posto a fondamento del successo della loro produzione automobilistica ed elettronica e che oggi è diventato un dogma aziendale che nessun produttore di beni e servizi si azzarderebbe a rinnegare pubblicamente.

In conclusione la rivoluzione grigia indotta dalla crescita delle cronicità è una vera rivoluzione perché non bastano cambi di facciata e nuove targhe sui portoni. Serve una rivoluzione culturale che il sistema non è pronto ad affrontare.

Come il Servizio sanitario si sta attrezzando

Abbiamo detto che nell’attuale contesto non è ragionevole immaginare che il sistema rinnovi se stesso in modo così radicale e profondo solo per effetto delle politiche di assistenza delle cronicità. Tuttavia dobbiamo riconoscere che, sospinte dall’emergenza cronicità, alcune regioni più avvedute (la Lombardia, la Toscana, il Veneto) hanno imboccato questa strada piena di ostacoli e stanno assumendo in materia di gestione delle patologie croniche alcune iniziative sperimentali che turbano i sonni delle strutture specialistiche accreditate, o quanto meno di alcune componenti delle stesse. Le inquietudini riguardano principalmente le ricadute di queste sperimentazioni sulla stabilità e sulla tenuta degli attuali contratti di servizio, dei flussi della domanda, del livello della remunerazione delle prestazioni.

Per non lasciare il campo ad allarmismi ingiustificati conviene valutare le iniziative di cui parliamo alla luce del Piano nazionale cronicità recentemente varato in Conferenza Stato-Regioni. Un atto di indirizzo .coraggioso che testimonia del fatto che la parte più sensibile del governo del sistema – la Conferenza Stato-regioni – ha preso finalmente coscienza del problema e si sta rimboccano le maniche per indicate le vie d’uscita.

Del tutto condivisibile è la premessa da cui il Piano prende le mosse. L’osservazione empirica dimostra che il bisogno del paziente cronico è diverso, profondamente diverso da quello che si manifesta nella patologia acuta. Non è improvviso, ma insorge gradualmente, non si risolve con cure episodiche, di breve durata e risolutive, ma richiede un’azione pro-attiva, non di semplice attesa. Innesca una serie continua e coordinata di azioni ed ammette come risultato non la guarigione, ma tutt’al più il miglioramento della qualità della vita, avvalendosi dell’apporto significativo di un’azione tutelare della persona di tipo socio-assistenziale.

Partendo da questa analisi del bisogno, il Piano ci propone un modello di gestione del malato cronico che tiene conto delle principali acquisizioni internazionali e delle esperienze regionali più mature. Si articola nelle seguenti fasi fondamentali, che ricordano molto da vicino il ciclo della qualità totale:

  • stratificazione e targeting della popolazione.
  • promozione della salute, prevenzione e diagnosi precoce
  • presa in carico e gestione del paziente
  • erogazione di interventi personalizzati per la gestione del paziente
  • valutazione della qualità delle cure erogate

La fase della stratificazione del bisogno della popolazione cronica adotta le tecniche di population management messe a disposizione dalla più avanzata letteratura scientifica anglosassone. Si vuole in pratica stratificare, cioè spacchettare la popolazione con patologia cronica (target) in sottogruppi (sub-target) identificati sulla base dello stadio di sviluppo della patologia e della relativa complessità assistenziale. I sottogruppi vengono quindi classificati secondo la piramide di Kaiser su tre livelli. Nel primo vengono inquadrati i soggetti con cronicità poli-patologica ad elevata fragilità clinica, con bisogni che richiedono percorsi di elevata complessità ed intensità integranti ospedale, residenza e domicilio. Di norma coincidono con il 7-8 % della popolazione target. Nel secondo vengono inquadrati i soggetti con cronicità poli-patologica associata ad elevata condizione di fragilità sociosanitaria, con bisogni extraospedalieri ad accesso ambulatoriale frequente integrati a trattamenti residenziali-domiciliari. Di norma la classe incide per il 12-13 % della popolazione target. Nel terzo infine vengono inquadrati i soggetti con una cronicità iniziale ed una sola patologia principale o più patologie, con bisogni che richiedono accessi ambulatoriali e territoriali medio-bassi con una significativa regia del medico di medicina generale proattivo. E’ la massa dei cronici, incidente per il 70-80 per cento della popolazione target.

La stratificazione, sulla cui validità scientifica non mancano perplessità, non ha funzione meramente statitistico descrittiva e non è fine a se stessa. E’ propedeutica alla identificazione di un percorso assistenziale di intensità e complessità differenziata, ricostruibile sulla base di rilevazioni statistiche delle attività e della spesa. Ai percorsi si associano ovviamente pertinenze erogative differenziate che impattano in varia misura sull’ospedale, sui centri specializzati, sulle strutture intermedie, sull’ ambulatorio, sulla residenza, sul domicilio e coinvolgono comunque la medicina generale in veste proattiva nonché differen ti livelli di costo standard. Il procedimento logico non è molto diverso da quello che consentì negli anni 90 di passare dalle remunerazione degli ospedali a giornata di degenza alla remunerazione per prestazioni classificate con il metodo dei DRG statunitensi.

La presa in carico del paziente cronico è invece una vera novità assoluta, almeno per il nostro ordinamento. Tutti ne parlano da anni come la chiave di volta del desease management, ma nessuno fino ad oggi è riuscito a definirla in termini istituzionali e a declinarla in compiti operativi. Lo strumento di sistema per la gestione personalizzata del paziente cronico è il piano di cura (PAI o PDTA che dir si voglia) , un documento redatto e gestito in concorso tra loro da tutti gli attori, la cui elaborazione viene finalmente identificata come un prodotto assistenziale valorizzabile economicamente. Il paziente aderisce al piano di cura volontariamente, attraverso la sottoscrizione di un patto di cura con il gestore. responsabile dell’attuazione del piano. Sottoscrivendo il patto, il paziente accetta di coinvolgersi collaborativamente nella esecuzione dei trattamenti previsti ed il gestore si impegna a svolgere tutte le attività di supporto, di assistenza tecnica, di monitoraggio e di collegamento con tutti i punti della rete affinché il paziente possa ricevere tutte le prestazioni contemplate nei tempi e secondo i regimi previsti dal piano stesso. La presa in carico attraverso il patto e la gestione del programma – ci dice il Piano con assoluta determinazione - è una precisa e nuova funzione assistenziale a contenuto organizzativo e gestionale, che ha per contenuto la elaborazione, l’aggiornamento e la gestione di percorsi assistenziali standard previsti per le diverse tipologie di cronicità, ma personalizzabili anche in corso d’opera.

Va sottolineato che la presa in carico per la gestione del programma è distinta e servente rispetto alla erogazione dei trattamento, la quale si spalma sulla rete degli erogatori, di tutti gli erogatori, nessuno escluso, perché il sistema della produzione e dell’offerta delle prestazioni non cambia e non cambiano gli strumenti con cui è amministrata la esternalizzazione.

Uno sguardo alle ricadute sulla specialistica ambulatoriale esterna

Chiarita la portata del fenomeno che stiamo osservando e preso atto del disegno strategico che sta emergendo a livello nazionale, possiamo avventurarci ad azzardare alcune prime valutazioni come risposta alle preoccupazioni della specialistica ambulatoriale esterna, anticipando che, a nostro avviso, il modello che abbiamo descritto non impatta più di tanto negativamente sull’area di nostro interesse, anzi crediamo che offra qualche prospettiva positiva per lo sviluppo delle imprese esterne accreditate, sempre che le stesse sappiano coglierle.

Cominciamo con il dire che a nostro avviso i timori della specialistica esterna accreditata non hanno gran motivo di essere. La rivoluzione grigia si stempera in “aggiustamento” grigio che lascia tutti gli attuali attori del sistema erogativo al loro posto, con le loro caratteristiche funzionali e con i loro regolamenti amministrativi. Introduce un metodo nuovo di gestione programmata di una una quota, anche se rilevante ed in crescita, ma solo una quota della domanda sanitaria complessiva. Siamo sul terreno di politiche gestionali egmento della domanda, , lungi dall’avere come scopo quello di deprimerla, si propongono di contenerla nei limiti della sostenibilità finanziaria in un contesto di miglioramento della qualità dell’assistenza assicurata ai cronici. Al di là dei possibili effetti di riequilibrio tra pubblico e privato accreditato e tra branche specialistiche non modificano l’impianto generale del sistema erogativo. La specialistica non ha molto da temere. Al contrario l’attenzione riservata alla diagnosi precoce è un fattore che crea nuove opportunità di intervento programmato nelle quali gli erogatori della specialistica, della diagnostica e della laboratoristica accreditate possono essere attori significativi, specie se inseriti in accordi con i gestori dei percorsi e con il medico.

Anche se non è da escludere che la stratificazione e la standardizzazione dei piani di assistenza possano incidere sui flussi della domanda di specialistica determinando, ma pur sempre nei limiti anzidetti, marginali spostamenti di branca ed anche di regimi erogativi (dall’ambulatoriale al residenziale e al domiciliare), riteniamo che gli stessi siano facilmente gestibili dalle strutture ed addirittura sfruttabili in positivo incrementando la disponibilità di tali tipi di servizio.

La presa in carico più che una preoccupazione può essere valutata addirittura come un’opportunità per le strutture specialistiche territoriali. Osservata ancora più a fondo, la presa in carico rivela aspetti di vero servizio molto interessanti. Leggendo gli atti si capisce che essa è concepita come una vera e propria nuova funzione assistenziale, non contemplata esplicitamente dalle norme vigenti e priva di un suo posizionamento esclusivo o preferenziale nella struttura dell’attuale sistema erogativo. E’ una prestazione sanitaria, comunque distinta dalla competenza fiduciaria del medico di famiglia, implicante compiti organizzativo-gestionali nuovi, specializzati e come tali gestibili in esternalizzazione con gli strumenti dell’accreditamento e dell’accordo contrattuale. Allo stato ed osservando l’esperienza lombarda, possiamo ritenere che la iniziale scommessa sui medici aggragati è quasi fallita e si sta ripiegando su affidamenti a strutture ospedaliere, forti di una propria organizzazione e capaci di garantire direttamente o mediante accordi anche l’ erogazione di prestazioni complesse. Le imprese accreditate per la specialistica esterna possiedono una loro buona organizzazione interna di servizio grazie alla quale intrattengono una relazione fiduciaria con la clientela. Ciò le mette, specie se associate ed aggregate con altri punti di servizio strategicament individuati (medici di medicina generale, case di cura, residenze, strutture socio-sanitarie, nella condizione di diventare un soggetto competitivo per la promozione dei patti di cura, per la gestione dei piani assistenziali e per l’erogazione tori di una vasta gamma di prestazioni e di servizi.

Si notino inoltre le opportunità offerte dall’approccio innovativo del Piano al tema della remunerazione. Senza toccare né il modello dell’accreditamento dei provider esterni e dei contratti di servizio, né la politica delle tariffe, il piano nazionale prospetta una filiera di soluzioni che va dalla valorizzazione delle attività di programmazione, organizzazionee monitoraggio dei percorsi individuali (pay-for-coordination), al pagamento sulla base del raggiungimento di obiettivi (pay-for-performance), alla remunerazione a pacchetto per episodio (pay-for-bundled) tra le quali la specialistica divenuta gestore dei piani di assistenza può trovare margini di interesse.

A questo punto la domanda la poniamo noi ai lettori.

Come si posiziona la specialistica ambulatoriale esterna all’interno di questo tracciato strategico ? Che ruolo vuole giocare nella palude organizzativa che si vuole bonificare ? Può ragionevolmente pensare di restare chiusa nella bolla del suo segmento tecnico-professionale ? Può continuare ad essere un attore dell’offerta bifronte sul versante pubblico e su quello del mercato privato senza risentire dei moniti imposti dall’economia della salute e senza tener conto di un paziente sempre più informato e cosciente dei propri diritti di consumatore avveduto ?

Ci chiediamo se è ragionevole continuare a pensare ad un’impresa sanitaria specialistica con un forte radicamento nelle comunità servite come un “opificio” che vende prestazioni incurante della loro efficacia e che marcia a due velocità, una tarata sulle commesse pubbliche, afflitte dai problemi che abbiamo visto e prospetticamente in calo, e l’altra sulla domanda privata, prospetticamente in aumento, pensando di trasferire automaticamente sul secondo versante, ciò che può perdere sul primo versante, quasi fossero vasi comunicanti. O se invece, considerando la globalità e la trasversalità del mercato della salute, non sia più “aziendale” e più “professionale” (e anche più “sociale”) guardare alla sanità come un mercato con caratteristiche strutturali che lo tengono rigorosamente fuori dalle ordinarie regole del libero scambio fondato sul prezzo e diventare partner intelligente e pro-attivo delle politiche di management dell’offerta, sviluppando la propria capacità di trasformarsi in centri di servizi sanitari complessi e polifunzionali